venerdì 31 agosto 2007

1000 liberi libri al Festival dei Saperi

"Inchiostro", il vostro giornale multiuso, è lieto di annunziare liberazione di ben 1000 libri in occasione della seconda edizione del Festival dei Saperi

giovedì 23 agosto 2007

IL MONDO ADULTO CHE DISASTRO

il vostro blog preferito è lieto di ospitare un post di Vincenzo Andraous

In questa estate di divertimenti gli esami di riparazione fanno capolino, viene da dire “a volte ritornano”, ma forse è meglio richiamare attenzione e sensibilità diverse nel promuovere qualche sano esame di coscienza.
Nonostante il sipario sia calato, è meglio non dare tregua, spazio e possibilità di ritemprarsi a quel maledetto vigliacco a nome bullismo: forse è meglio non concedere vacanza alla mente e al cuore, per tentare di porre rimedio a un disagio relazionale che ci coinvolge tutti.
Forse è il caso di conoscere meglio quel vicolo cieco, dove bulli e vittime recitano la loro parte, dove è semplice andare a sbattere la testa, e diventa assai più difficile rialzarsi, perché non c’è nessuno a cui chiedere aiuto, non c’è nessuno più in là del buio della solitudine, più in là della nostra malcelata fragilità.

Chissà se in questo intervallo almeno per una volta sapremo ripensare a noi adulti, compromessi e stanchi, ma finalmente consapevoli del nostro ruolo e della nostra responsabilità.
Il bullo, la vittima, la scuola: c’è una circolarità, un inseguimento a ritroso, come se ogni violenza e sofferenza derivassero da una dimensione di apprendimento meccanica, una polarità nell’istruire e educare, dove però non è sufficiente imparare a fare qualcosa con le parole e con i numeri, ma bisogna imparare a vivere comprendendo il valore degli altri, e a convivere con chi è diverso da noi, e soprattutto con quanto è sinonimo di regola, perché se anche ci limita, possiede l’irrinunciabile principio della tutela, soprattutto per i più esposti a incassare i colpi bassi dell’arroganza.

Il mondo adulto è l’origine del disastro, la scuola preposta a educare, accogliere, accompagnare, le agenzie educative primarie come la famiglia, i soliti ignoti che non intendono parlare dei rapporti con i figli, perché significa mettersi in discussione, spazzare via le giustificazioni, e trovare finalmente il tempo da “buttare via”.
Questa dovrà essere l’estate del coraggio per coloro che dovranno farsi promotori di un nuovo progetto, che comprenda, sì, la trasmissione di conoscenze e capacità intellettuali, ma che non dimentica una strategia formativa delle passioni, affetti, sentimenti, affinché avvenga serenamente l’incontro con le emozioni.

Dibattiti e supervisioni saranno senz’altro interventi importanti per tentare di prevenire ulteriori forme di disagio-bullismo, ma risulteranno sterili se si obietterà con il silenzio a un genitore che insegna al proprio figlio di non ritornare a casa un’altra volta ammaccato, perché ne prenderà delle altre se alla prossima non le darà via per primo, a un altro genitore che ribadisce di non fidarsi mai di nessuno perché tutti ti fregano.
In questa esaltazione della forza fisica, della sordità verso una socialità che dovrebbe favorire il consolidarsi del rispetto per l’altro, c’è il radicamento di una convinzione grossolanamente errata, così eloquente e pericolosa, da non poter più esser presa sotto gamba: “i giovani distruggono e i più grandi si autodistruggono, mentre gli adulti così avidi di cose da raggiungere a tutti i costi, se ne stanno da un’altra parte”.

Vincenzo Andraous

mercoledì 15 agosto 2007

Festival dei saperi in arrivo



I libri sono tantini



ma siamo preparati...

sabato 11 agosto 2007

LA DISLOCAZIONE DELL’ATTENZIONE

Inblostro, il blog di Inchiostro è lieto di presentare un post di Vincenzo Andraous


Sul carcere italiano non si odono più lamenti sospetti, né si consumano notizie scandalistiche per tentare di restringerlo a una sorta di terra di nessuno. Da qualche tempo è stato studiato un progetto di eccellenza per renderlo inanimato, per cui la tutela del cittadino detenuto, la salvaguardia della società, l’interesse collettivo, sono incentrati sul principio della sicurezza, la quale rafforza la propria efficienza e susseguente efficacia attraverso uno strumento a dir poco sbalorditivo: il silenzio.
Tutto è possibile e tutto è accettabile a fronte di un paese messo alle corde dall’incertezza, tutto è legalitario, anche l’ingiustizia programmata, per non fare trasparire un disagio economico che aggredisce i più deboli.

Il problema microcriminalità investe da vicino in tutta la sua fisicità il cittadino, che percepisce la città tagliata a metà da furfanti e belligeranti antisociali, e ogni ruberia e atto sanguinario come risultato di un buonismo inaccettabile.Ma occorre fare i conti con la realtà paradossale che ci incalza, da una parte la politica da palco che pungola gli stati emotivi, dall’altra parte le armate mediatiche drogano a piacere l’informazione, per cui le coordinate tracciate indicano nelle tribù di stranieri il pericolo debordante e incombente, mentre i delinquenti medagliati dall’indulto fanno spargere lacrime e sangue, per cui è con il carcere che occorre compensare il gap, mobilitando la confusione e moltiplicando le iniziative a senso unico.



E’ chiaro che il delitto offende e umilia, niente è perdonabile nel suo immediato, ma forse occorre più parsimonia dell’ascolto, in una quotidianità allarmante, che richiede capacità di intervento ma soprattutto equità di giudizio. Scippi, rapine, morti ammazzati, sono la tragedia di un paese, ma dislocare l’attenzione su un versante piuttosto che su un altro, non favorisce giustizia, sottende ipocrisia nei numeri taroccati a dovere, nei morti sul posto di lavoro, provocati da coloro che fanno ressa al botteghino della sicurezza. Nelle case, nei focolari domestici, pedofili e violenti imbrattano le adolescenze, mentre sull’uscio alzano la voce per avere maggiori garanzie.

Il carcere finisce con l’essere non più luogo e tempo di ricostruzione umana, bensì spazio adibito a chiudervi fobie e inculture, permanenze esistenziali disadattate in progettazioni a costo zero. Eppure il silenzio avvolge l’area problematica carceraria, nel silenzio alla rieducazione si sostituisce la pratica del mero contenimento fine a se stesso, nel silenzio si muore a ripetizione, in un carcere svuotato come in molti si sono affrettati a gridare, dove non c’è più sovraffollamento e gli operatori possono dimostrare capacità professionali e umane: ebbene la somma della detrazione alla vita, incredibilmente è andata aumentando, ma forse si tratta di suicidi poco importanti, che non scompongono il senso di sicurezza.

Il carcere che non c’è, anzi sì, in tutto il suo fisico fisiologico, mentre scompare l’ideale, irrompe il mutamento, la pratica che non guarda più alla persona detenuta, all’individualità da reimpostare, piuttosto a un evento, a comportamenti, che sono un pericolo diffuso. Ecco che la galera non ha più senso come luogo di speranza, ove riconsegnare all’uomo dignità, il contenitore e i numeri sono la sintesi per indurre illusoriamente a un’efficienza a minor costo, con grande soddisfazione di quelli che guardano al carcere senza porsi interrogativi, e di quegli altri che non guardano al carcere ma si fanno tante belle domande.

domenica 5 agosto 2007

Bookcrossing ancora una volta

Ancora una volta Inchiostro svetta in cima alla classifica.

Nanopatologie

Inblostro, il vostro blog preferito ritorna sulle nanopatologie argomento trattato da Inchiostro, il giornale che l'Università vorrebbe chiudere.
Nel numero 35 dell'ottobre 2006 abbiamo dedicato (grazie all'ottimo Marco Canestrari) un servizio su questa tematica. Potete leggere il servizio qui.
Recentemente se ne è occupato anche Paolo Attivissimo. Trovate il servizio qui.

sabato 4 agosto 2007

Le vite degli altri

Le vite degli altri: un film drammatico e cupo ambientato nella Berlino Est del 1984, la cui protagonista quasi assoluta è la Stasi, la Polizia di Stato che vi dominava in quel difficile ed oscuro periodo. La Stasi che controllava da vicino, con inflessibile costanza e precisione le vite degli altri, appunto, cioè delle persone sospettate di avere compromettenti rapporti con la Germania ovest, con la sua gente, con le sue istituzioni e, soprattutto, con la sua politica. La Stasi a cui nulla sfuggiva, impersonata dagli ambigui individui delle sue gerarchie, tra cui il Capitano Gerd Wiesler ed il Ministro della cultura Bruno Hempf.

La vicenda trattata in questo film di Florian Henckel Von Donnersmarck è l’indagine “Laslo”, ossia l’inchiesta sullo scrittore di teatro Georg Dreyman, apparentemente sospettato di nascondere una sotterranea ribellione al regime. In realtà politica ed interessi personali si intrecciano in questo riflessivo film che scuote e tocca, pur senza esagerare con la presenza di forti scene. La violenza del film, infatti, non è dovuta alle scene, ma a ciò a cui esse fanno pensare, alle domande che ti pongono di fronte, a cui, forse, con sincerità non sai rispondere. Questo bel film, molto apprezzato da critica e pubblico, è anche la storia di un amore che muore perché non resiste alle pressioni del potere, del fallimento dell’ispirazione artistica in assenza delle libertà personali, di un’amicizia ritrovata perché si è capita dentro di sé la verità, e la strada giusta da seguire. È la storia di gente come noi, più sfortunata di noi, persone fragili ed indifese a cui viene tolta la possibilità di essere felici, troppo combattute e provate dagli eventi per poter sopravvivere, e di altri che invece trovano una sorgente pura da cui attingere nuove invincibili forze per ribellarsi, per non lasciarsi andare, per ricominciare a vivere in modo degno, senza più lasciarsi schiacciare.



È un film etico, politico non solo nel senso di informazione e di denuncia, ma anche nel senso ormai quasi perduto in cui la intendevano i Greci: nel senso, appunto, di far ragionare, riflettere, pensare. Vi viene svelato il male della vita, che non è felice favola, ma dura prova.Tutti i personaggi, tra i quali l’attrice di teatro Christa Maria Sieland, la donna amata dallo scrittore, che con lui convive e gli altri amici idealisti del suo ambiente, sono ben delineati, quasi dipinti a tuttotondo, nella loro sfuggente ambiguità, nel conflitto interiore tra purezza e salvezza, nelle loro contraddizioni tra volontà ed azione, nelle sfumature dei loro pur forti sentimenti.

Questa storia dimostra, inoltre, che nonostante lo squallore, la tragedia (in quegli anni, infatti, altissimo era diventato il numero dei suicidi, per l’invivibilità del Paese, per l’impossibilità di esservi ancora artisti, di mantenere ancora vivi sentimenti buoni, puri), c’è sempre un barlume di speranza, di possibilità di riscatto e di salvezza, qui colta, nel finale, dal Capitano Wiesler e da Georg Dreyman.

È un film quasi interamente ambientato in interni, dove si respira un senso di chiusura e di oppressione, come nell’ottocentesco salotto dei drammi ibseniani, luogo costrittivo, quasi di tortura. Un’atmosfera lugubre si respira anche nei tristi esterni, strade poco frequentate e grigie, in giorni di pioggia e di nebbia, naturalmente metaforici. In questo film lento e pausato, acuto e profondo, pieno di silenzi e di parole pesanti come macigni, vi sono molti primi piani, riprese ravvicinate o affrontate, per sottolineare il clima di scontro e la fine dei sogni, in quella città dove il pericolo aleggia ovunque.Altri simboli del film sono la parola “pubblico”, la “Sonata per anime buone”, che distinguerà nel finale i vinti ed i vincitori, e l’atto del lavarsi sotto la doccia, quasi rito per purificarsi dalle colpe appena commesse.

Bellissimo ed indimenticabile il finale, un lungo fermo immagine del Capitano Wiesler, un uomo stremato, che però ha avuto la forza di cambiare, che perciò può tornare a sorridere sereno perché nonostante tutto ha vinto, salvando una vita ed anche se stesso. Con i suoi bellissimi e profondi occhi azzurri, di nuovo pieni di luce, può ancora guardare avanti, verso un futuro migliore, siglato dalla storica caduta del Muro di Berlino.
Simona Carrera

giovedì 2 agosto 2007

LA RAZZIA DEGLI INTELLETTI

Inblostro, il blog che non va in vacanza è lieto di ospitare un post di Vincenzo Andraous.

Mi chiedo spesso perché sull’extracomunitario da rimandare alla riva opposta, ci si spende in tanti, mentre sono davvero pochi quelli che prendono in considerazione con lo stesso furore ideologico la possibilità che c’è un’altra umanità, ed è lasciata al caso, peggio, dimenticata sul ciglio di una strada, quasi sempre sotto gli occhi indifferenti del cittadino.

E’ disumana la razzia degli intelletti posti sotto il tallone delle ideologie fast food, ma forse ancor più miserabile è l’accettazione di un massacro di carne e ossa e sentimenti così ben consolidato da non creare ulteriore vergogna: l’assassinio sistematico degli animali attraverso la pratica ben oliata del loro abbandono.

Certamente sono due intendimenti diversi, ma entrambi forme occulte di razzismo, comportamenti imparentati all’incultura, per cui ci si rifiuta di integrarsi da una parte, di fare proprie le regole del vivere civile dall’altra.
Sono operazioni neppure tanto sottotraccia, che hanno la pretesa di passare inosservate nel rifiuto a osservare quelle misure di prevenzione, che sono sinonimo di promozione e accoglienza umana.

In questo vicolo cieco, andare a sbattere non è casuale, la domanda scava nel fianco, mal tolleriamo i diversi da noi, e mal operiamo per renderli cittadini migliori.
Così ogni giorno raccogliamo animali abbandonati, raccattiamo resti inguardabili di animali lacerati, animali denutriti, picchiati, lasciati al sole e alla catena, senza acqua e senza cibo.
L’incultura più pericolosa è proprio il non rispetto dell’altro, perché è sostanza estranea al fattore umano che dovrebbe ricorrere in ognuno di noi, quando anche un animale in quanto essere e fratello vivente, è preso a calci, con l’impunità che deriva dal concetto tutto italiano, che tanto è costume, è tradizione, che al primo caldo si sciolga l’affetto e l’alleanza con l’amico a quattro zampe.

Non credo di essere razzista a fare questi accostamenti, non riconosco piani differenti sul valore universale della solidarietà e sul richiamo a fratellanze allargate, non nutro sentimenti di avversione per chi è diverso da me culturalmente o per epidermide più o meno abbronzata dalla natura, ma neppure intendo avallare la stortura di un potere che muove le sue pedine per darla a bere a questo e a quell’altro, per rendere meno indigesta l’inadempienza a discapito della giustizia, la quale tutela l’uomo, e non accetta distacco per l’ammazzamento persistente degli animali.

Vincenzo Andraous