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Di Francesca Macca
IL VALORE DELLA MEMORIA
Messaggio del Prof. Amos Luzzatto
La memoria della memoria, questa espressione sembrerebbe una “battuta” assurda o uno slogan pubblicitario. E sarebbe davvero tale, se la memoria consistesse nell’apertura di un nostro archivio segreto (individuale o collettivo, poco importa) per riportarne alla luce informazioni preziose che la trascuratezza o, peggio, la volontà di dimenticare, avrebbero tentato di occultare.
Ma non è necessariamente così.
La memoria è un possente strumento per capire e per rispondere alle sollecitazioni del presente. La guerra nei Balcani, il Medio Oriente in fiamme, il minacciato “scontro di civiltà” dimostrano che l’odio fra le genti e le stragi degli innocenti non sono una pura e semplice eredità di un passato sogno di incubi; e allora, alle nostre menti si affaccia la domanda angosciata: ma sarà sempre così, anzi, sempre più così?
La risposta implicita che abbiamo dato a questa domanda fino a questo momento era di concludere che la Shoah fosse stata a tal punto mostruosa da risultare incomprensibile con i comuni strumenti della mente umana, che fosse stata, in una parola, “follia”, sia pure follia criminale: follia degli uomini, follia di un intero popolo, follia di Hitler. E, come tale, almeno per coloro che credono nella razionalità di fondo dello spirito umano, irripetibile. Tanto da giustificare l’autentico giuramento con il quale si concludevano tutte le nostre manifestazioni: “Mai più”.
Sentiamo però che questo modo di affrontare la memoria non è più sufficiente.
Perché la nostra premessa non è scevra da critiche; la memoria non è, infatti, un supporto magnetico cui attingere dati ma è una funzione attiva della nostra mente, che sa in partenza a quale tipo di dati rivolgere la propria attenzione e quali, invece, trascurare; che sa in partenza quali sono i problemi che deve affrontare e, spesso, ha già formulato, se non proprio un giudizio definitivo, almeno delle ipotesi di risposta; e cerca “nella memorie” quei dati che possono confermare o respingere il giudizio stesso.
Possiamo dunque indicare dei cosiddetti “valori” che sono in realtà giudizi dei quali siamo già forniti a priori e che orientano il nostro modo di scavare in profondità nella memoria? Certamente, sì.
Il primo dei nostri valori si chiama civiltà ed esso significa il procedere del consorzio umano dalla legge del trionfo del più forte a quella del supporto per i più deboli, dalla soppressione del rivale o di quello che si ritiene possa soltanto chiedere alla società senza nulla dare, al principio della solidarietà.
Il secondo valore significa valorizzare la varietà umana, la ricchezza delle “altre” culture, delle altre lingue, delle altre Fedi. Esso significa la libera circolazione delle idee, senza opporvi ostacoli, neppure economici.
Il terzo valore, infine, indica il dialogo, il confronto, la trattativa, come unici strumenti che possono risolvere i contenziosi umani, proibendo, come reato, qualsiasi ricorso alla violenza.
“Memoria” significa allora scavare nel passato in modo selettivo, per cercarvi non tanto le gesta degli eroi sui campi di battaglia quanto gli esempi di solidarietà e di cooperazione; esempi forse rimasti nell’ombra ma non per questo meno rilevanti, forse al contrario. E’ questa infine quella Memoria che può diventare uno strumento di fiducia nel domani. E’ questa che ci accingiamo a celebrare.
Chi è Amos Luzzatto…
La Stampa, 15/09/2005
Nato a Roma nel 1928, Amos Luzzato ha ricoperto la carica di presidente dell'Unione delle comunità ebraiche in Italia dal 1998 e fa parte di una famiglia di vecchia tradizione. Il nonno materno, Dante Lattes, fu uno dei principali esponenti della cultura ebraica italiana del secolo scorso e il trisavolo paterno, Samuel David Luzzatto, Shadal, fu docente al Collegio Rabbinico di Padova ed esponente italiano della «Wissenschaft des Judentums». Luzzatto ha trascorso l’adolescenza a Gerusalemme, fino al 1946, e per oltre 40 anni è stato chirurgo in diversi ospedali italiani. Come studioso ha approfondito le applicazioni dei metodi matematici alle ricerche medico-cliniche e ama farsi definire «medico-studioso di cultura ebraica». Tra i suoi scritti, spiaccano i saggi nei libri «Sinistra e questione ebraica», «Ebrei moderni», «Oltre il Ghetto», «Annali Einaudi - Storia degli ebrei d'Italia».
[Il presente post rappresenta le opionioni di un redattore di Inchiostro e pertanto non sono per nulla attribuibili all'intera redazione]
sorriso riconoscente dalla cassiera. Dalla divisione in parti uguali di una torta, all’aneddoto storico sulla principessa costretta a scegliere uno sposo tra tre candidati, i quali però gli venivano presentati uno alla volta, per cui la scelta del primo precludeva gli altri due e viceversa (insomma, la versione medioevale di Next!, uno di quei programmi assurdi di Mtv…). Su questo modello infatti si basa il problema cruciale, da cui il titolo del libro: riuscire a parcheggiare la macchina senza vivere l’angosciante esperienza dell’Indecisione cosmica, che ti porta a scartare il primo parcheggio disponibile, salvo poi ritornare a cercarlo fiduciosi e trovarlo occupato da un’altra auto.Nell’intervista Maiani chiarisce che la lettera è stata scritta a novembre, ma «è stata diffusa dai giornali due mesi dopo, in tutt’altro contesto e facendola passare come un’iniziativa per non far parlare il Papa all’università».
«Questo è sbagliato nel merito –aggiunge il professore- e fortemente riduttivo nel discorso che noi volevamo fare. Io sono per l’assoluta libertà della scienza, non per mettere il bavaglio a chicchessia, meno che mai al Papa».
Le Commissioni parlamentari hanno un mese per decidere e la disinformazione galoppa ancora.
Siamo ai limiti del paradossi. Malgrado abbia passato più tempo a distinguersi dai centristi e dai cattolici della coalizione anziché svolgere il suo lavoro, il ministro dell’Università Fabio Mussi rinnega ora questa sua prerogativa difendendo il Papa e non i 67 professori e gli studenti che hanno manifestato la loro avversione alla partecipazione del Pontefice all’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza (ricordiamo che la lettera dei professori espone civilmente la loro contrarietà)
In un intervento parlamentare il “coso rosso Mussi” ha tenuto a esprimere «un parere personale sincero ed autentico».
«Quando il rettore Guarini ha chiesto al Ministro di partecipare all'inaugurazione dell'anno accademico - cerimonia nella quale era stata prevista la presenza del Papa che avrebbe preso la parola - ho accettato immediatamente l'invito ed ho ritenuto non solo giusta la presenza del Ministro, ma interessante poter partecipare ad una cerimonia, ad una manifestazione, nella quale una grande personalità come quella di Benedetto XVI avrebbe preso la parola» e –leggendo questo comunicato- si può ipotizzare che avrebbe abbassato il capo davanti al pontefice, come tanti altri suoi colleghi.
Difficile condividere le posizioni del Ministro a proposito di dialogo e disponibilità al confronto pensando a un personaggio come Benedetto XVI e i suoi vicini collaboratori –nella fattispecie Ruini- che dialogano a diktat, interferendo con dichiarazioni ad hoc nel dibattito politico-sociale italiano. Difficile condividere le posizioni sul confronto e sul «al rapporto tra concezioni, visioni, teorie, filosofie e religioni diverse», quando gli stessi personaggi esprimono dei punti di vista poco aperti. Ne abbiamo un esempio recentissimo (vedi Ruini a proposito di legge 194 e di divorsi “rapidi”), malgrado tutte le cose dette nei giorni prima.
Il comunicato di Mussi continua ricordando altre occasioni passate durante le quali i pontefici hanno partecipato a cerimonie negli atenei italiani: «È normale, -dice il ministro- è naturale e fa parte della storia il fatto che anche le grandi autorità religiose prendano la parola all'università e si confrontino con quelli che la pensano legittimamente in modo diverso e ne contestano anche le tesi», rinnegando l’attitudine laica che l’ha portato alla scissione (e anche la frantumazione di zebedei con i suoi distinguo e le sue dichiarazioni). Al ministro sembra naturale che in Italia il Papa intervenga nei luoghi della scienza, e magari sembra anche naturale chiamare “confronto” la lettura pubblica di un testo (che non corrisponde proprio a un dibattito con persone “che la pensano legittimamente in modo diverso”).
«Il principio della laicità dello Stato non è negoziabile perché questo tema ha a che fare con la libertà. La Chiesa merita rispetto ma un grande partito deve comunque mantenere la sua autonomia intellettuale verso tutti», dichiarava nel febbraio 2007, mentre a distanza di un anno afferma che «non è un attentato al principio di laicità il fatto che il Papa possa prendere la parola» alla Sapienza.
di Paola Cabutto
Perchè manifestare contro la visita del Papa all’Università La Sapienza di Roma in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2007/2008?
Perché impedire ad un luminare della cultura, perché tutto si può dire di Papa Benedetto ma non che non sia un uomo di elevata cultura, di inaugurare un anno accademico in un’Università che si presume debba essere luogo privilegiato per l’espressione della cultura stessa?
Perché fare della facile ironia sulla figura umana di Joseph Ratzinger quando per persone molto meno interessanti e più spaventosamente ignoranti si stendono tappeti rossi?
Perché, invece di chiudersi sulle proprie posizioni, i giovani dell’ateneo romano, e dolorosamente bisogna anche menzionare alcuni docenti che hanno dimostrato un’ottusità stratosferica, non hanno accettato un confronto aperto e sereno con il Pontefice?
Pensavano che Ratzinger si sarebbe presentato con la guardia svizzera e avrebbe sequestrato tutti occupando l’ateneo per ottenere il più alto numero possibile di conversioni?
Non penso che il Suo intento fosse esattamente quello; semplicemente poteva essere un’occasione per una lettura in chiave cristiana dell’istituzione universitaria e di incoraggiamento per chi ancora oggi, nonostante le discriminazioni messe in atto da questa nostra società che si professa aperta al dialogo, alla tolleranza e all’accettazione, crede in Dio, per chi ha una fede salda costruita su principi che vanno aldilà dell’uomo Ratzinger ma che trovano piena espressione nella figura papale.
Un’ultima riflessione sulle autorità chiamate in causa per questo fatto di cronaca: perché se il Presidente Napolitano, il Rettore dell’Ateneo romano e altre personalità politiche e non hanno espresso “rammarico e indignazione” per questa vicenda, non sono intervenuti prima che questa decisione venisse presa?
La situazione è tipica delle istituzioni italiane: è inutile “piangere sul latte versato” ma forse bisognerebbe iniziare a riflettere…
Mi si nota di più se vengo e resto in disparte o se non vengo per niente?
di Luca Restivo
Non dico che su questa faccenda del Papa sento puzza di bruciato perché mi sembrerebbe poco carino richiamare alla mente Giordano Bruno proprio in questa occasione, ma di certo ho come l’impressione che la realtà sia dannatamente più complessa di quanto possa apparire.
Innanzitutto, alcuni dati di fatto che non possono essere esclusi dalla discussione:
Chissà perché, ma con il clima che si è creato (o meglio, che qualcuno che capisce come funzionano i media e che bazzica il Vaticano ha creato ad arte…) credo che nei prossimi mesi gli attacchi alla 194 e leggi simili si faranno sempre più insistenti e le voci contrarie sempre più flebili…