giovedì 15 febbraio 2007

Brigate rosse e amnesie generazionali

[Il blog di Inchiostro è lieto di ospitare un post di Vincenzo Andraous]

Sono tempi che non consentono cadute all’indietro, vuoti di memoria, amnesie culturali e generazionali.Rivoluzione e brigate rosse, risoluzioni e comunicati. Tanti anni fa esisteva il ruggito proletario che mieteva vittime e speranze all’insegna di un ipnotismo collettivo, sì, delirante, ma anche condiviso dalle masse più influenzabili, lacerate da aspettative disattese. Un brigatismo forgiato nelle scuole, nelle fabbriche, nelle periferie dimenticate. Persino nelle celle di un carcere si esorcizzava la paura della sconfitta, dubitosa all’inizio, più certa nel corso della battaglia. Anche nella libertà perduta l’assolutismo ottuso era vinto nell’alcol delle parole, degli slogans inebetiti e inebetenti, nei volti inchiodati alle sbarre delle finestre, in attesa di una liberazione che non sarebbe mai avvenuta. Era l’utopia a fare da conduttrice ai sentimenti, a fare da maschera alle proprie inadeguatezze.

Questi tempi odierni sono diversi, non solo sono cambiate le condizioni per gli inarrestabili mutamenti intervenuti, soprattutto sono cambiati gli uomini, le persone, le generazioni. Queste nuove brigate rosse, questi nuovi avamposti del ferro e del fuoco, fanno intravedere una simbiosi scombinata di ben altra realtà.
Si è parlato molto delle babygang, di come fanno o meglio pensano di fare collettivo, di come recintano un’area dove tutto può essere condiviso. Giovani perbene perché finanziariamente approvvigionati, giovani con poche monete nelle tasche, ma tutti disagiati, perchè senza idee, sprovvisti di tecniche dialettiche e politiche, di estremismi pseudo-solidali.



Il presunto terrorista che oggi si presenta sul palcoscenico nazionale, è qualcuno che ha perso il suo tempo, che veste abiti mentali vetusti e tarlati da un decennio di vita a vivere, e non di vita da combattere a tutti i costi. E’ qualcuno, sì, fornito di cultura, di nozioni tecniche economiche, ma solo in apparenza è un conduttore autorevole, perché nonostante il suo carico di terrore, di metriche logorroiche, tradisce la propria identità di educatore di anime delittuosamente ingenue, di anime purtroppo già derelitte e sconfitte. E’ qualcuno che tradisce una identità non libera né liberante, che non possiede edificio da ricostruire sulle ceneri del passato, proprio perché chi rifiuta le scelte, tutte, in blocco, non conosce libertà, né può essersi mai sentito un uomo libero.

Allora, e con sorpresa, non ci sono solamente le babygang a scorrazzare sulle strade, c’è un nuovo soggetto che irrompe nella nostra società, sparuto gruppo dell’ultima fila, ospiti fissi dei rifugi del comodo silenzio, interrotto dalla frazione di uno sparo, attori inconsapevoli della propria patologia di Peter Pan, confermata nelle miserie esistenziali di uomini infantilizzati dal disimpegno, dal rifiuto del dialogo, del confronto.

Uomini sempre più soli, destinati al macero, come le parole rubate sui libri di storia, distorte fino a farle diventare replicanti di se stesse, in un remake degli anni di piombo, che nessuno vorrà rivedere.

Mai più.

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