martedì 20 febbraio 2007

Chi intossica i ragazzi

[dal sito de "la Stampa" un bell'editoriale di Luca Ricolfi (segnalato da Marzio)]

Nella vita m'è capitato di conoscere un sacco di persone, non solo ragazzi, che sono sinceramente e entusiasticamente coinvolte in una causa politica. Negli anni scorsi mi è capitato anche, come sociologo, di occuparmi delle «missioni suicide» in Palestina, ossia di quei militanti (laici ed islamici) che si fanno esplodere contro obiettivi israeliani, perlopiù supermercati, ristoranti e autobus; ho imparato tante cose, che non sapevo e neppure immaginavo, e non ho mai smesso di volerne sapere di più. In quel periodo mi è successo varie volte di trovarmi a discutere con giovani e meno giovani che avevano le loro idee sulla causa del popolo palestinese.


Ed è stato proprio in queste chiacchierate, cominciate sempre bene ma finite spesso amaramente, che mi sono accorto di un paio di cose.La prima: chi è impegnato in una causa, specialmente se e proprio perché è in buona fede, non ha nessuna disponibilità ad ascoltare qualsiasi argomento che possa indebolire la causa. La seconda: fra le cose che non si è disposti ad ascoltare ci sono anche le notizie puramente fattuali non appena queste possono anche minimamente scalfire le proprie credenze.

La conseguenza di questo atteggiamento è una completa mancanza di curiosità. Gli eroi della tua causa sono fissati una volta per tutte nel loro mito, e guai a chi ti racconta qualcosa che potrebbe farli vacillare dal loro piedistallo su cui li hai messi.
Questi ricordi mi tornano alla mente oggi, guardando le immagini dei telegiornali e i commenti dei politici. A Roma un corteo porta a spasso tre fantocci impiccati, e poi li brucia: rappresentano un soldato israeliano, uno americano e uno italiano. Nel corteo risuona il triste slogan 10-100-1000 Nassiriya. Parlamentari della maggioranza partecipano al corteo e poi si dissociano. Tutte le maggiori cariche dello Stato, da Napolitano a Marini a Prodi a Bertinotti, esprimono la loro indignazione. I politici che hanno preso parte al corteo condannano, ma dicono che non possono essere considerati responsabili di quel che fanno quattro imbecilli, oggettivamente «nemici» della causa del popolo palestinese.Eh no, cari Diliberto e compagni, qui avete proprio torto, e ha sacrosantamente ragione il vostro presidente del Consiglio quando dice che dissociarsi non basta, e ci vuole «l'impegno a finirla di giocare con la piazza».

Perché lo scandalo non è che ci siano quattro «imbecilli», «teppisti» o «provocatori» (come vi sbizzarrite a chiamarli) che fanno quello che fanno. Lo scandalo è che nessuno degli altri manifestanti li abbia fermati, che non siano stati subissati da una marea di fischi, che non ci siano state decine di interviste a manifestanti che dicono: siamo sconvolti, ci vergogniamo per loro. E lo sapete perché non ci sono? Non ci sono perché ci siete voi, con le vostre analisi a senso unico, con la vostra faziosità, con le vostre cecità, con i vostri sofismi, con la vostra sistematica opera d’ informazione a senso unico.

A voi non interessa affatto sapere come stanno davvero le cose in Palestina, capire di quanti errori - non solo israeliani - è fatta la tragedia di quel popolo, aiutare gli uni e gli altri a parlarsi, come disperatamente e ostinatamente fanno i migliori, i più coraggiosi, i più giusti, i soli veri eroi di entrambi i campi. Se i giovani che guidate nei vostri cortei vi stessero davvero a cuore, cerchereste di non lasciarli intossicare dall'odio e dall'ideologia, come per troppi anni è toccato alla nostra generazione.

Perché loro negli Anni 60 e 70, quando i cortei si entusiasmavano per le «eroiche» lotte di popoli regolarmente finiti in dittature (ricordate il presidente Mao? e l'ayatollah Khomeini?), loro non c'erano. Non c'erano perché non erano ancora nati. Ma noi sì, noi eravamo già nati, ed eravamo piuttosto grandicelli.

Abbiamo già visto quel film.

Come facciamo a non ricordare che anche allora non c'era (quasi) nessuno che andasse a verificare le cose, che avesse voglia di raccontare quel che vedeva, che provasse per un momento a togliersi di dosso le lenti dell'ideologia? Perché su tutto questo non sentiamo il «dovere della memoria»?

Ma a voi queste cose non sembrano importanti. A voi non interessa capire, ascoltare, ragionare.

A voi non sta veramente a cuore il dialogo.

No, a voi interessano solo i vostri giochi politici, mettere il vostro marchio su ciò che vi conviene. Perché se vi interessasse davvero il dialogo - quella magica parola che tirate fuori dal cilindro solo quando i cattivi minacciano un'azione militare - allora vi porreste il problema di cominciare da voi stessi, dai vostri militanti, dalla gioventù idealista che spesso vi segue. Vi sforzereste di riempirli di interrogativi, di curiosità e anche di dubbi. Insegnereste loro che nessuna causa è buona se vi induce a disprezzare la verità, a mentire agli altri e a voi stessi.

Li aiutereste ad avere la mente sul serio libera, l'animo davvero sgombro dall'odio e dai pregiudizi. Gli fareste leggere l'orazione funebre di David Grossman in onore del figlio, morto combattendo una guerra che voi considerate sbagliata.
Gli mostrereste quanto rispetto reciproco, quanto amore, quanta sofferta comprensione possa esserci fra un padre che crede nella pace e un figlio che sente il dovere di servire la patria. Se faceste tutto questo, se non scherzaste cinicamente con l'idealismo dei nostri ragazzi, non ci sarebbero manichini bruciati.

E se anche ci fossero, qualcuno li fermerebbe subito. Ma soprattutto a nessuno verrebbe in mente di chiederne conto a voi.

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