giovedì 19 aprile 2007

Partito Democratico: né socialisti né liberali?

un altro bell'articolo del professor Ricolfi preso da La Stampa. One more time.

LUCA RICOLFI
Oggi comincia l’ultimo congresso dei Democratici di sinistra, domani l’ultimo congresso della Margherita. Poi i due partiti dovrebbero avviare le fasi finali di un processo che, iniziato ben undici anni fa, porterà post-comunisti (Ds) e post-democristiani (Dl) a confluire in un unico partito genuinamente riformista, il plurivagheggiato Partito democratico (Pd). L’evento epocale si consuma nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica, e qualcuno - fra i traghettatori - comincia a chiedersi perché.

Per alcuni il guaio sembra consistere in un deficit di democrazia e di partecipazione: il «nuovo soggetto» nascerebbe con una logica escludente, senza una vera volontà di coinvolgere la mitica società civile, e tanto meno i partiti-bonsai, tipo Verdi, Italia dei valori, Sdi, Radicali, Udeur. Per altri il problema vero è la latitanza dei contenuti: si discute febbrilmente di leadership, posti, incarichi, correnti, quote, ma non è chiaro quale sia il progetto di cambiamento che il nuovo partito vuole far valere. Per altri ancora il nodo è la drammatica mancanza di ricambio del ceto politico: da quasi vent’anni la scena è occupata dagli stessi sei o sette leader, perlopiù vecchiotti e di sesso maschile, mentre i giovani aspiranti alla successione - non avendo il coraggio di condurre vere battaglie politiche - preferiscono «prendere il bigliettino» e fare la fila in attesa del proprio turno.

Come comune cittadino, che non è mai stato iscritto a un partito, mi sono fatto un’idea diversa. Forse la vera ragione per cui il nuovo soggetto non scalda i cuori è più semplice e primordiale.

Il progetto del Partito democratico sconta il tragico deficit di credibilità dei suoi proponenti. Certo, uno può leggere il Manifesto del nuovo partito, stilato dai dodici saggi (apostoli?), e trovarlo «orripilante» (Cacciari) oppure scorgervi una serie di idee interessanti, ancorché talora troppo vaghe o elusive (Giavazzi). Ma resta il fatto che qualsiasi cosa ognuno di noi voglia scorgere in quel pezzo di carta (personalmente vi trovo parecchie idee ragionevoli, espresse in una lingua irritante), e tanto più se riusciamo a intravedervi alcune soluzioni interessanti ai problemi dell’Italia, non possiamo fare a meno di confrontare le parole con i comportamenti. E se questa operazione di confronto la conduciamo fino in fondo, è difficile non vedere l’abisso fra gli alati discorsi sul futuro e la mesta prassi quotidiana dei due sposi.

Già, perché l’unico modo serio che abbiamo a disposizione per convincerci della bontà del nuovo prodotto, o della felicità del matrimonio Ds-Dl, è di guardare il comportamento dei due fidanzati. E chi lo ha fatto in questi anni, chi ha osservato questo inizio di legislatura, chi ha analizzato l’impianto della Finanziaria, non ha potuto non vedere che i futuri sposi hanno ormai perso l’anima socialista senza per questo acquisire quella liberale.

Se avessero ancora avuto un’anima socialista non avrebbero abbandonato gli operai, dopo aver loro promesso il cuneo fiscale, ossia 3-400 euro in più all’anno in busta paga: la Finanziaria ha stanziato qualcosa per i redditi medi, molto per i dipendenti pubblici, pochissimo per incapienti e redditi bassi. Se Ds e Dl avessero un’anima socialista si sarebbero accorti che, da un decennio, i redditi dei dipendenti pubblici crescono a un ritmo doppio rispetto a quelli dei dipendenti privati, e che i primi a «non arrivare alla fine del mese» sono gli operai del settore privato. Niente di male, naturalmente, ma una sinistra più attenta ai colletti bianchi che ai colletti blu ha ben poco di socialista, se le parole hanno ancora un senso.

Si potrebbe pensare (sperare?) che l’anima socialista perduta sia stata sostituita da una più moderna - e adatta ai tempi - anima liberale. Ma non è così. I veri liberali, che sono una sparuta minoranza in tutti i partiti italiani (eccetto la Rosa nel pugno), non possono che inorridire di fronte alla timidezza di Ds e Dl nel primo anno di governo. Più tasse, più contributi, più burocrazia in materia fiscale. Concorsi riservati nella pubblica amministrazione. Continui rinvii di problemi cruciali come pensioni e ammortizzatori sociali. Risorgenti tentazioni dirigiste in economia non appena il capitale straniero mette il naso in casa nostra (vicende Telecom e Autostrade). Per non parlare della politica scolastica e universitaria, dove non si intravede un barlume di meritocrazia. O di quella della sanità e degli enti locali, dove la politica non si sogna di fare quel passo indietro che promette sempre e non attua mai.

Si dirà: ma è proprio per questo, per poter essere più socialisti e più liberali assieme, che vogliamo fare il Partito democratico. Benissimo, ma è precisamente questo nesso logico che sfugge al comune cittadino. Saremo sempliciotti, ma non riusciamo a non chiederci: se così poco di voi stessi siete riusciti a mostrare in questi undici anni di fidanzamento, perché mai dovremmo credere che - una volta sposati - i vostri vizi si tramuteranno in virtù?

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