sabato 9 giugno 2007

La vergogna del sangue

Inblostro, il blog di Inchiostro è lieto di pubblicare un post di Vincenzo Andraous

E’ incredibile come il passato ricomponga la sua trama sulle macerie del presente, rivestito di disattenzioni e disamore per la verità.
La televisione ed i quotidiani ci mostrano cortei a favore della liberazione della Lioce, dei brigatisti in carcere, di quanti sono sottoposti al 41 bis, al carcere duro.
La città dell’Aquila è attraversata dai vecchi e usuranti slogan, Bologna è rapinata della propria dignità, nelle scritte sul muro dell’abitazione del Prof. Biagi, ulteriore umiliazione a un morto che non può più difendersi.

Ma di quali simpatie pseudo brigatiste si tratta; quelle di oggi, quelle che imperversavano nelle piazze ieri? Di quali uomini in armi e incappucciati in piazza dobbiamo avere timore, se questo velleitarismo è ormai sconosciuto persino ai più vecchi e incalliti degli utopisti o rivoluzionari che dir si voglia.In queste camminate autocelebranti per la città, in queste scritte ordinatamente scomposte, qualcuno può pensare che ci sia una reinterpretazione a misura del nostro tempo?Mentre osservavo i volti dei contestatari, la mia esperienza spingeva la mente a misurare l’ingiustizia della spersonalizzazione, della eccessiva durezza dell’isolamento in un carcere, misure di contenimento legittime, ma che sospingono le persone a suicidarsi nella più colpevole indifferenza.

Una riflessione, un dissenso, non possono però essere ghermiti come clava, per favorire speculazioni ideologiche elaborate in troppi sepolcri imbiancati. Gli anni di piombo sono trascorsi, trapassati, non esiste il pericolo di contaminazione popolare, perché un’intera generazione è stata annientata, e quei ragazzi in corteo, gli altri che hanno imbrattato la memoria di un morto, non possono pensare di plagiare le coscienze attraverso vecchie e nuove istanze di terrore e sofferenza.Un grande scrittore contemporaneo ha decodificato questa irresponsabilità come “ la vergogna del sangue”. Dal canto mio, mi permetto di affermare che la memoria è nostra compagna di viaggio, mentre ci accorgiamo che non c’è una sola classe di studenti, una catena di montaggio di operai, un nucleo famigliare, un solo Dio eretto a delirio di potenza, ad affiancare questa disturbante rappresentazione.

Lo sparuto gruppo all’Aquila, gli altri con lo spray a Bologna, quanti con l’arroganza della violenza fuggono dalla vita propria e peggio, altrui, rischiano di rimanere al palo ad aspettare un tram che difficilmente si fermerà a raccogliere i ritardatari, quanti, nel frattempo saranno diventati replicanti di se stessi, ma che nessuno vorrà rivedere.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

ehehehe vi fate catturare dal fascismomediatico della cronaca nera piduistica che martella e martella dalle televisioni del nano
(quelli son 4 cretini che non hanno ancora imparato la lezione che dalla violenza non si ottiene nulla)

Anonimo ha detto...

Carissimo anonimo:
-sarebbe gentile identificarsi (nome, nickname, qualcosa);
-dal tuo giudizio pare che tu non abbia capito il senso dell'articolo. Quello che tu scrivi tra parentesi è il senso dell'ultimo paragrafo.

Andrea

Mizar ha detto...

Inoltre "VI" chi? Un insieme di persone? La redazione? Io, mmammate e tu?
L'autore del post? Il saccente direttore?

Anonimo ha detto...

....che caduta di stile...Mizar...dai..offedere i genitori...diamo un certo tono al blog...orsù

Gradinoro

Mizar ha detto...

Io mammeta e tu

Ti avevo detto dal primo appuntamento

'e nun purtà nisciuno appriesso a tte...

Invece mo 'nu frate

'na sore o 'nu nepote

sola nun staie 'na vota:

ascimme sempe a tre.

E m'hai promesso: "Domani, chi lo sa...

vengh'io soltanto, soltanto con mammà..."



Io, mammeta e tu...

passiammo pe' Tutete

nuie annanze, mammete arete

Io, mammete e tu...

sempe appriesso, cos' 'e pazze

chesta vene pure 'o viaggio 'e nozze

jammo 'o cinema a ballà

si cercammo 'e ce squaglià

comme a 'nu carabiniere

chella vene a ce afferrà...

Ma, 'nnammurato

so' rassegnato

non reagisco più

Io, mammeta e tu...



Ma San Gennaro m'aveva fatt' 'a grazia:

llata matina nun l'ha fatt'aià

teneve ll'uocchie 'e freva

pareva che schiattava

Io quase me credevo 'e ascì sulo cu' tte...

'nu filo 'e voce però truvaie mammà

"D' 'a piccerella ve faccio accumpagnà..."



Io, soreta e tu...

Jamm' 'o bar 'o Chiatamone

"Vuò 'o cuppetto e vuò 'o spumone?"

"Chello ca costa 'e cchiu!..."

Pe ricordo 'e 'sta jurnata

dint' 'a villa ce hanno fatto 'a foto:

Vo' 'o pallone, v' 'o babà

nun se fida 'e cammenà.

Guarda 'a essa e guard' 'o mare:

sto penzanno 'e ce 'a menà...

Tu n'he 'nguaiato, me spose 'a n'ata

nun ve veche cchiù:

mammeta, soreta e tu...



Patete, fratete e tu...

Mammeta, soreta, fratete, zitete,

nonnete , nannete e tu.

Pazzaglia-Modugno

Effettivamente la citazione era un filo imprecisa. Chiedo venia

Anonimo ha detto...

GLI EDITORIALI DI ANTONELLO DE PIERRO DIRETTORE DI ITALYMEDIA.IT

Finalmente liberi!

di Antonello De Pierro

Era ora! La legge che pone fine all’obbligatorietà del servizio di leva è finalmente una realtà. Termina così la girandola di amarezze e delusioni che la stragrande maggioranza dei nostri giovani, chiamati ad assolvere gli obblighi di leva, è stata da sempre costretta ad incassare, perdendone abbondantemente il conto. Il festival dell’ingiustizia, delle assegnazioni e dei trasferimenti incredibili, decisi al tavolo delle raccomandazioni e dei clientelismi, senza nessuna logica o pudore di sorta: soldati spediti da Palermo a Udine, braccia “rapite” dallo Stato a famiglie bisognose, e rampolli privilegiati, parcheggiati nell’ufficio dietro casa. Il Rubicone della vergogna, attraversato sfacciatamente dai burattinai degli uffici di leva e delle caserme, muovendo inesorabilmente i fili del destino di ragazzi impotenti, spesso sacrificati sull’altare di frustrazioni personali dei superiori, finalmente sta per prosciugarsi. La “pacchia” dei graduati, abilissimi nel sottomettere giovani inermi, facendosi scudo con le opinabilissime leggi militari, che schiacciano, marciandoci sopra con i cingoli, la loro dignità, inizia a intravedere il tramonto. Chi pulirà le caserme, i “cessi” putridi e puzzolenti, le stanze e gli uffici degli ufficiali e dei “marescialloni” spocchiosi? Chi spazzerà i cortili per ore, spettacolo preferito dalle pupille dei graduati, attenti affinché venisse raccolta anche la “cicca” più minuscola (ottimo esercizio per chi avesse voluto impiegarsi come operatore ecologico al termine del servizio di leva, ma perfettamente inutile per la formazione di un soldato)?Chi impartirà lezioni gratuite di latino, greco, matematica o fisica ai figli “somari” di colonnelli e generali, quando il ragazzo laureato preferirà affrettassi a trovare qualche spiraglio nel muro di gomma del mondo del lavoro, piuttosto che seppellire un anno della sua vita nello squallido grigiore di una caserma? Particolarmente difficile appare in questi giorni penetrare quel guscio di riservatezza, che protegge come un’armatura l’universo militare dal mondo dei civili. Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha dribblato con sorprendente abilità la richiesta di un’intervista da parte del nostro giornale. Ma noi, che non amiamo assolutamente mettere il morso alla nostra inarrestabile voglia di verità, non possiamo sorvolare su gravi episodi legati alla moritura “naja”, nutrendoci al banco della nostra esperienza diretta, dove troviamo ricordi che ancora passeggiano vivi nella nostra memoria. Come possiamo non toglierci il sassolino dalla scarpa, foderandoci gli occhi con il prosciutto, di fronte alla verità che preme per scivolare tra le righe di un foglio provvisorio di giornale? Per ognuno un film lungo un anno e con all’incirca lo stesso copione, fatto di angherie, soprusi, arbitrarie privazioni della libertà personale. Un anno trascorso vivendo di nulla ai margini del nulla, con la rassegnazione pronta a spegnere immediatamente qualsivoglia ruggito di vitalità. Finalmente si volta pagina. Agli occhi di chi scrive la memoria mette a fuoco fotogrammi spaventosi. Ragazzi avviluppati dalla spirale del sistema militare, privati della volontà, della dignità stessa di esseri umani, ridotte a puro sussurro. Costretti a subire turpiloqui e ingiurie a più non posso, senza la possibilità di reagire; a mangiare con le mani e ad elemosinare un bicchiere d’acqua nella desolazione dell’Ospedale Militare di Firenze; a dormire con cinque coperte e cinque maglioni in gelide camerate senza riscaldamento (naturalmente nelle camere confortevoli degli ufficiali il caldo era insopportabile); a subire incredibili atti di “nonnismo”, a fare flessioni sulle braccia, portando il naso a due dita da una nauseante quantità di “merda”, troneggiante in bella mostra sul biancore di una “turca”. E molto altro congelato nei file mnemonici degli sventurati protagonisti. Spesso qualcuno più debole non ha retto e ha deciso di chiudere i conti con la vita prima del congedo. Con sorprendente rapidità, sugli scandali sanguinolenti, è sceso sempre puntualmente il velo del silenzio e dell’omertà.
Tutto ciò sarà presto finito. Finalmente!